I due intervistati che citano più frequentemente Chanoux sono Cyprien Roveyaz e, naturalmente, Marie-Céleste Perruchon, la vedova del notaio.
Giulio Dolchi ricorda semplicemente come fosse noto a tutti che Chanoux era il personaggio più in vista dell’antifascismo valdostano e per questo non considera plausibile un tradimento nell’episodio dell’arresto.
La Perruchon ricorda, invece, il primo interesse del futuro marito per la politica, lo scontro con don Alphonse Commod, l’amicizia con l’abbé Trèves («uno maestro dell’altro»; «l’idea di federalismo è prima sua che di Émile»), e la parziale delusione per l’incontro di Chivasso. Viene, inoltre, refutata ogni ipotesi di annessionismo.
Roveyaz fa riferimento a Chanoux soprattutto per quanto riguarda la sua formazione autonomista (mentre dal punto di vista politico e sociale il suo riferimento fu Stévenin) ed evidenzia la leadership del notaio dopo il salto di quest’ultimo dalla teoria alla pratica e all’organizzazione militare avvenuta dopo l’8 settembre. Anch’egli sottolinea la delusione di Chanoux per la riunione di Chivasso e la ricerca di nuovi alleati (prima la Svizzera, poi la Francia). Passa infine al ricordo dell’arresto, episodio nel quale ebbe un ruolo cruciale dal momento che cercò di avvertire Chanoux dopo le notizie avute da Camillo Renzi circa l’ipotesi di un’azione da parte di Mancinelli. Roveyaz afferma inoltre che il traditore non era di origine valdostana.
Come riportato dalla Simonetti, dalle interviste emergono due concezioni di opposizione al regime nazifascista in Valle d’Aosta: quella ponderata di Chanoux e quella più impulsiva, di matrice resistenziale di Émile Lexert e Duccio Galimberti. Nella parte finale, Roveyaz lamenta la mancanza di documenti importanti riguardanti la vita del notaio.